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Le Sacre Scritture affermano, inoltre, che la fede può crescere
e ammettere gradi di grandezza.
Di fatto, quando gli apostoli non riuscirono a curare un giovane lunatico
che gli era stato presentato, vedendo poi che Gesù lo
aveva curato, domandandogli perché non lo avevano riuscito, udirono
da Cristo la seguente risposta:
"Per la vostra poca fede".
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Da dove si deduce che, se la fede può essere poca, è perché
essa può anche essere molta. In modo somigliante, quando Pietro
camminò sulle acque del mare all'incontro di Gesù e, vedendo
la violenza del vento, s'impaurì e cominciò a sommergersi,
Gesù lo rimproverò:
"Uomo di poca fede,
perché hai dubitato?"
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Però, al contrario, quando incontrò una donna cananea che
gli supplicava la cura del figlio, Gesù gli disse:
"Donna, la tua fede è grande".
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Ed ancora, in un'altra occasione, gli apostoli, vedendo quanto piccola
era la fede che li animava, chiesero a Cristo:
"Accresci a noi la fede".
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Da passi come questi si conclude che è l'intenzione delle Sacre
Scritture insegnare che la fede sia qualcosa che possa aumentare nell'uomo.
Nel De Sacramentis Fidei Christianae, Ugo di S. Vittore fa' un'affermazione
intimamente rapportata con la questione della crescita della fede. Lui
afferma che ci sono due cose dalle quale è fatta la fede:
"La conoscenza,
e l'affetto, cioè,
la costanza e la fermezza nel credere"
(12).
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Questo passo non significa che la fede sia un'affetto; al contrario, la
fede è una conoscenza; questa conoscenza, però, è
dotata di due qualità che gli sono distintive, la costanza e la
fermezza. Ambedue queste qualità appartengono alla conoscenza e,
pertanto, stanno nell'intelligenza come nel suo soggetto, ma sono causate
dalla volontà, riferita da Ugo nel De Sacramentis con il
nome di affetto.
Con ciò abbiamo già tre caratteristiche della conoscenza
che è la fede e che la distinguono dalle altre conoscenze. La prima
è l'essere mossa dalla volontà per raggiungere il suo oggetto;
le due restanti sono una costanza e una fermezza particolare della
fede dovuto al fatto di essa procedere dalla volontà.
Se è così, però, la fede può crescere
di dui modi, cioè, per la conoscenza, quando gli sono insegnate
più cose sulla Rivelazione o la Sacra Scienza, o secondo la costanza
e la fermezza nel credere:
"La fede di alcuni è grande per la conoscenza,
ma piccola per la costanza e la fermezza.
Già quella di altri è grande
per la costanza e fermezza,
e piccola per la conoscenza.
Altri, finalmente, ci sono
in che la fede è grande o piccola
in ambedue cose" (13).
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Ora, nel Vangelo Gesù paragona la fede con un granello di senapa
(Lc. 17, 6), e aggiunge:
"Esso è il più piccolo di tutti
i semi,
ma qund'è cresciuto
è più grande di tutti gli erbaggi
e si fà un'albero;
tanto che gli uccelli del cielo
vengono a riposarsi tra i suoi rami".
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Da questo paragone Ugo di S. Vittore deduce che
"in verità,
la costanza e la fermezza nella fede
sono più lodabili che la quantità
della sua conoscenza,
perché il Signore lo manifestò
chiaramente
quando paragonò la fede al granello
di senape,
che, se per la quantità è piccolo,
non lo è, però , per il fervore"
(14).
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Ciò non significa, come vedremo più avanti, che la crescita
della fede nella conoscenza sia qualcosa la cui importanza debba essere
disprezzata; tali affermazioni vogliono segnalare una caratteristica distintiva
della fede come conoscenza, cioè, che la fede è una forma
di conoscenza tale che, anche che in piccola quantità, ammette per
natura una possibilità di crescita straordinaria che non trova in
altre forme di conoscenza. Non si pretende dire, con ciò, che la
crescita della fede secondo la conoscenza sia irrilevante; al contrario,
dice Tommaso d'Aquino che quando questa conoscenza è posteriore
alla volontà di credere questo è un segnale di maggiore merito
della fede:
"Di fatto, quando l'uomo
hà una volontà pronta alla fede,
ama la verità creduta e,
meditando su di essa,
accoglie le ragioni della medesima,
quando queste si possono trovare.
Quanto a questo, la ragione umana
non esclude il merito della fede.
Al contrario,
è segnale di maggiore merito,
così come le passioni
che si seguono alle virtù morali
sono segnali di una volontà
più pronta alla virtù,
e non vice versa" (15).
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Comunque sia, nonostante la fede possa brillare per la quantità
della conoscenza, questo, quando occorre, di solito gli avviene come conseguenza;
la fede brilla, tra le altre conoscenze, in primo posto, per la fermezza
e per la costanza. È questo che troviamo anche scritto da S. Tommaso
d'Aquino:
"La perfezione dell'intelletto e della scienza
eccedono la conoscenza della fede
in ciò che riguarda la manifestazione,
no, però, in ciò che riguarda
la più certa adesione"(16).
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Nelle Sacre Scritture troviamo numerose riferimenti tanto alla fermezza
come alla costanza della fede. Alla fermezza della fede si riferisce con
particolare insistenza lo stesso Gesù Cristo, come in questo passo:
"In verità vi dico
che se qualcuno dirà a questa montagna:
- `Togliti di là e gettati in mare',
e non avrà alcun dubbio nel suo cuore,
ma crederà che quel che dice
s'abbia a compiere,
gli accadrà.
Perciò vi dico,
tutte le cose che domanderete nella preghiera,
abbiate fede di ottenerle,
e le otterrete".
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La stessa dottrina Cristo l'insegnava quando faceva i suoi miracoli; quando
un centurione romano gli è venuto a chiedergli che curasse uno dei
suoi servi, Gesù, vedendo la sua fede, gli rispose:
"In verità vi dico
di non aver trovato mai
tanta fede in Israele!
Vai, e ti sia fatto
secondo la tua fede".
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A che il Vangelo aggiunge:
"E in quel momento
il servo fu guarito".
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Nella più grande parte delle volte in che concedeva un miracolo,
Gesù anche rispondeva a chi ce lo aveva chiesto:
"Alzati e vai;
la tua fede ti hà salvato";
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o allora:
"La tua fede ti hà salvato;
vai in pace".
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Nel Vangelo di S. Matteo lui aggiunge:
"Se aveste tanta fede quanto un granello di
senapa,
potreste dire a questo monte:
- `Passa da qui a là',
e passerebbe,
e niente vi sarebbe impossibile".
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Nel finale del Vangelo di S. Marco, quando salutava agli apostoli l'ultima
volta, Gesù aggiunge questa promessa:
"Questi segni accompagneranno
coloro che credono;
scacceranno i demoni nel mio nome,
parleranno lingue nuove,
prenderanno in mano serpenti e,
quand'anche bevessero veleno
non ne avranno alcun male;
imporranno le mani agli infermi
ed essi guariranno".
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Ma nel Vangelo di S. Giovanni, nell'occasione della risurrezione di Lazzaro,
Gesù fece una promessa ancora più impressionante:
"Chi crede in me,
quand'anche fosse morto,
vivrà;
e chi vive e crede in me
non morrà in eterno".
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Quest'ultima promessa alla fede è così più importante
delle anteriori che quando all'inizio della sua vita pubblica Gesù
inviò alcuni dei suoi discepoli a predicare in altre città
e loro ritornarono rallegrandosi per i miracoli che avevano realizzato,
Gesù gli commentò:
"Non vi rallegrate perchè
vi stanno soggetti gli spiriti,
ma rallegratevi piuttosto perchè
i vostri nomi sono scritti nel cielo".
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Abbiamo visto, dunque, con questi esempi, come Gesù insisteva nella
fermezza della fede. Chi insiste di un modo speciale nella costanza della
fede è l'apostolo San Paolo. Nella Epistola ai Galati lui cita il
profeta Abacuc, secondo il quale "il giusto vive della fede" (Gal.
3,11). Nella epistola ai Romani lui ripete la stessa citazione (Rom. 1,17).
Nella epistola ai Ebrei la stende un poco in più e dice:
"Il giusto vivrà per la fede,
dice il Signore,
ma,
se indietreggia,
non hà gradimento in lui l'anima mia".
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Nella epistola ai Colossesi, lui parla nuovamente della costanza della
fede con le seguenti parole:
"Se dunque siete stati risuscitati con Cristo,
cercate le cose di lassù,
pensate le cose di lassù,
non quelle della terra,
poichè siete morti,
e la vita vostra s'è nascosta
con Cristo in Dio".
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In questo passo della Epistola ai Colossesi S. Paolo non menziona la parola
fede; nonostante ciò il passo come un tutto si riferisce alla vita
della fede, il che c'è lo è attestato da Ugo di San Vittore
quando afferma che:
"C'è un genere di uomini
ai quali credere significa
appena non contraddire la fede,
ai quali chiamiamo di fedeli
più per i costumi di vita
che per la virtù di credere.
Di fatto,
dedicati appena alle cose che passano,
mai elevano la mente
al pensiero delle cose future;
anche se ricevono i sacramenti della fede cristiana
come gli altri fedeli,
non fanno attenzione a che significa essere
cristiano
o che speranza c'è nella spettativa
dei beni futuri.
Questi, nonostante siano detti fedeli per il
nome,
di fatto ed in verità sono lontani dalla
fede" (17).
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